In a regulation-by-litigation system, such as the model adopted in U.S. corporate law, courts and legislatures periodically address overlitigation, which entails significant costs and does not bring material benefits for corporations and their shareholders. Overlitigation in M&A field dramatically peaked in 2015, when over 96% of publicly announced mergers were challenged in a shareholder lawsuit. A certain scheme was primarily responsible for this spike: the disclosure-only settlement. This relied on the courts’ routine practice of approving any settlement, even when the benefit for corporations and shareholders was evident. Through such form of settlement, the shareholders obtained some modest supplemental disclosures, the plaintiff’s attorneys received significant fee awards from the defendant directors, and the defendant directors secured some blanket class releases from future claims—in addition to settling the case. In early 2016, with In re Trulia the Delaware Court of Chancery imposed a doctrinal shift for disclosure-only settlements, requiring that supplemental disclosures deliver a “plainly material benefit” to stockholders and that any releases from liability be “narrowly circumscribed.”. In light of this, the new standard made collusive disclosure-only settlements far more difficult and resulted in a decrease of merger litigation. Federal courts have quickly applied Trulia with In Re Walgreen, while some state jurisdictions have been slower and sometimes reluctant to do so. In the face of this reaction, plaintiffs’ law firm swiftly devised a new scheme and exploited another procedural gap: the mootness dismissal with the payment of the associated fees. This resulted in a new increase of litigation. The new stratagem consists in a voluntary dismissal coupled with the payment of mootness fees to plaintiffs’ attorneys by the defendant—based on the common benefit doctrine. Unlike the disclosure-only settlement, the mootness dismissal is without prejudice for the class since the defendant obtains no release from future claims. Mootness fees are also on average much lower than the attorneys’ fees granted in a typical disclosure-only settlement. Yet, the pattern may result in a new abuse of litigation, since it carries costs without benefit and fails to serve any deterrence or redress function. Moreover, in federal courts the mootness scheme can bypass any judicial scrutiny, since the Federal Rules of Civil Procedure do not explicitly allow a court to review mootness fees. This explains why 87% of claims in 2017 were brought in a federal court and only 10% in Delaware, with the trend becoming more marked in the following months. In June 2019, in House v. Akorn, a U.S. District Court in Illinois extended the Trulia-Walgreen standard to mootness fee scheme, thereby ordering the plaintiffs’ attorney to return the fees to the corporation. An appeal is pending before the 7th Circuit, though it is likely that the appellate court will affirm the district court’s decision. Certainly, the standard adopted in Trulia and Akorn needs to be perfected and is not the only solution to overlitigation. Some commentators contend that overlitigation epitomises a crisis of the litigation system that becomes particularly acute when it evolves into a non-adversarial process. This is partly due to ineffective management—by legislatures and courts—of some conflicts of interest and of some incentives. However, courts and legislature have coordinated a series of decisions and legislative intervention for this purpose: C&J Energy, Corwin and Karp v. SI Financial Group are an example. More adjustments are underway in order to strike a balance which results in an effective control without unreasonable costs. Failure to do so could call into question the regulation-by-litigation model and might motivate a radical departure towards a regulatory approach, such as the Anglo-Irish code and panel-based model.

In un modello basato sulla c.d. regulation-by-litigation, come quello della corporate law statunitense, legislatore e giurisprudenza sono chiamati a confrontarsi periodicamente con l’eccesso di contenzioso; un eccesso che comporta costi per il sistema e in specie per le operazioni straordinarie senza determinare, simmetricamente, benefici sostanziali per le società o per i loro azionisti. Il fenomeno della overlitigation nel settore delle M&A ha raggiunto un picco nel 2015, quando oltre 96% di siffatte operazioni è stato oggetto di un procedimento giudiziale intrapreso da azionisti. Le specifiche ragioni di questo dato allarmante sono da rinvenirsi nel diffuso impiego di una peculiare strategia: il c.d. disclosure-only settlement, che fa leva sull’attitudine delle corti statunitensi ad approvare ogni accordo tra le parti che definisca transattivamente il giudizio, a prescindere da qualsivoglia evidenza sui benefici di tale accordo per la società e per i suoi azionisti. In particolare, attraverso i disclosure-only settlement, gli azionisti ottengono esclusivamente la disclosure di informazioni di dubbia utilità sull’operazione contestata, mentre ai legali degli attori viene garantita la liquidazione di compensi legali in misura significativa e agli amministratori convenuti un’ampia liberatoria anche in relazione a possibili future azioni – oltre a “portare in salvo” l’operazione oggetto del giudizio. Agli inizi del 2016, con la decisione In re Trulia, la Delaware Court of Chancery ha mutato orientamento e introdotto degli stringenti requisiti per l’approvazione dei disclosure-only settlement, richiedendo da un lato che la disclosure integrativa oggetto dell’accordo comporti un “plainly material benefit” per gli azionisti e dall’altro che qualsivoglia liberatoria in favore degli amministratori sia “narrowly circumscribed”. Il nuovo standard giudiziale rende non praticabile la descritta strategia, id est meno vantaggioso per le parti che intendano ricavare i predetti benefici iniziare un giudizio senza i necessari presupposti; di guisa che non può esser di certo considerarsi casuale la riduzione della litigation che ne è conseguita. Le corti federali si sono rapidamente conformate a Trulia con In Re Walgreen, mentre alcune giurisdizioni statali sono state lente e talvolta riluttanti a farlo. Nondimeno, a fronte della reazione della corti rispetto alla strategia collusiva illustrata, le law firm specializzate nell’assistere gli attori in questi giudizi hanno prontamente ideato una contro-reazione mettendo in campo un nuovo schema elusivo delle maglie processuali: il c.d. mootness dismissal con il pagamento dei compensi legali collegati. Da qui un nuovo incremento della litigation. Il nuovo stratagemma consiste in una rinuncia all’azione da parte dell’attore, combinata con il versamento di un compenso ai plaintiffs’ attorney da parte del convenuto e a carico della società – sulla scorta della c.d. common benefit doctrine. A differenza del disclosure-only settlement, il mootness dismissal non pregiudica alcun diritto né azione dei soci non costituiti, giacché il defendant non ottiene alcuna liberatoria in relazione a future contestazioni. Inoltre, in media le mootness fee sono meno ‘generose’ di quelle connesse ai classici disclosure-only settlement. Il meccanismo in parola rischia però di generare un nuovo abuso dello strumento giudiziale, con costi non bilanciati da benefici, giacché non corrispondenti a funzioni di deterrenza o di correzione. Peraltro, dinanzi alle corti federali la strategia in questione sfugge al controllo giudiziale, atteso che le Federal Rules of Civil Procedure non subordinano il pagamento dei mootness fee a una approvazione da parte della corte. Si spiega, così, perché nel 2017 l’87% delle azioni è stata portata dinanzi a corti federali e solo il 10% in Delaware, con un trend ancora più marcato nei mesi a seguire. Nel giugno del 2019, allora, con il caso House v. Akorn, la U.S. District Court dell’Illinois ha esteso il principio di Trulia-Walgreen al mootness fee scheme, condannando i plaintiffs’ attorney a restituire i compensi alla defendant corporation. L’appello è tuttora pendente dinanzi al 7th Circuit, ma è verosimile attendersi che la corte confermi la sentenza di primo grado. Non v’è dubbio che gli standard adottati dalle corti in Trulia e Akorn debbano essere perfezionati e che non possano costituire l’unico freno alla overlitigation. Parte della dottrina addirittura sostiene che la overlitigation sottenda una crisi del sistema, che assume contorni particolarmente preoccupanti ogni qual volta il giudizio assume i caratteri di un processo non contenzioso ma tendente alla collusione tra le parti. E ciò sarebbe dovuto, almeno in parte, a un’inefficace gestione, da parte delle corti e finanche del legislatore, di alcuni conflitti di interessi e degli incentivi su cui il sistema della regulation-by-litigation si regge. Nondimeno è anche vero che una serie coordinata di interventi legislativi e di pronunce sembrano dimostrare una certa reattività del sistema e la correzione di quanto segnalato: le decisioni C&J Energy, Corwin e Karp v. SI Financial Group ne costituiscono la prova. Altri correttivi sono presumibilmente in arrivo, con lo scopo di ristabilire un equilibrio tra efficacia del controllo e costi ragionevoli per lo stesso. Per contro, qualora tale obiettivo non fosse conseguito, potrebbe realmente entrare in crisi l’intero regulation-by-litigation model; e potrebbe altresì giustificarsi un mutamento più radicale in direzione di un regulatory approach, quale quello adottato nel Regno Unito o in Irlanda, basato su un code e su di un panel per il controllo.

RECENT DEVELOPMENTS IN U.S. MERGER LITIGATION

Matera P;Sbarbaro F M
2020-01-01

Abstract

In a regulation-by-litigation system, such as the model adopted in U.S. corporate law, courts and legislatures periodically address overlitigation, which entails significant costs and does not bring material benefits for corporations and their shareholders. Overlitigation in M&A field dramatically peaked in 2015, when over 96% of publicly announced mergers were challenged in a shareholder lawsuit. A certain scheme was primarily responsible for this spike: the disclosure-only settlement. This relied on the courts’ routine practice of approving any settlement, even when the benefit for corporations and shareholders was evident. Through such form of settlement, the shareholders obtained some modest supplemental disclosures, the plaintiff’s attorneys received significant fee awards from the defendant directors, and the defendant directors secured some blanket class releases from future claims—in addition to settling the case. In early 2016, with In re Trulia the Delaware Court of Chancery imposed a doctrinal shift for disclosure-only settlements, requiring that supplemental disclosures deliver a “plainly material benefit” to stockholders and that any releases from liability be “narrowly circumscribed.”. In light of this, the new standard made collusive disclosure-only settlements far more difficult and resulted in a decrease of merger litigation. Federal courts have quickly applied Trulia with In Re Walgreen, while some state jurisdictions have been slower and sometimes reluctant to do so. In the face of this reaction, plaintiffs’ law firm swiftly devised a new scheme and exploited another procedural gap: the mootness dismissal with the payment of the associated fees. This resulted in a new increase of litigation. The new stratagem consists in a voluntary dismissal coupled with the payment of mootness fees to plaintiffs’ attorneys by the defendant—based on the common benefit doctrine. Unlike the disclosure-only settlement, the mootness dismissal is without prejudice for the class since the defendant obtains no release from future claims. Mootness fees are also on average much lower than the attorneys’ fees granted in a typical disclosure-only settlement. Yet, the pattern may result in a new abuse of litigation, since it carries costs without benefit and fails to serve any deterrence or redress function. Moreover, in federal courts the mootness scheme can bypass any judicial scrutiny, since the Federal Rules of Civil Procedure do not explicitly allow a court to review mootness fees. This explains why 87% of claims in 2017 were brought in a federal court and only 10% in Delaware, with the trend becoming more marked in the following months. In June 2019, in House v. Akorn, a U.S. District Court in Illinois extended the Trulia-Walgreen standard to mootness fee scheme, thereby ordering the plaintiffs’ attorney to return the fees to the corporation. An appeal is pending before the 7th Circuit, though it is likely that the appellate court will affirm the district court’s decision. Certainly, the standard adopted in Trulia and Akorn needs to be perfected and is not the only solution to overlitigation. Some commentators contend that overlitigation epitomises a crisis of the litigation system that becomes particularly acute when it evolves into a non-adversarial process. This is partly due to ineffective management—by legislatures and courts—of some conflicts of interest and of some incentives. However, courts and legislature have coordinated a series of decisions and legislative intervention for this purpose: C&J Energy, Corwin and Karp v. SI Financial Group are an example. More adjustments are underway in order to strike a balance which results in an effective control without unreasonable costs. Failure to do so could call into question the regulation-by-litigation model and might motivate a radical departure towards a regulatory approach, such as the Anglo-Irish code and panel-based model.
2020
In un modello basato sulla c.d. regulation-by-litigation, come quello della corporate law statunitense, legislatore e giurisprudenza sono chiamati a confrontarsi periodicamente con l’eccesso di contenzioso; un eccesso che comporta costi per il sistema e in specie per le operazioni straordinarie senza determinare, simmetricamente, benefici sostanziali per le società o per i loro azionisti. Il fenomeno della overlitigation nel settore delle M&A ha raggiunto un picco nel 2015, quando oltre 96% di siffatte operazioni è stato oggetto di un procedimento giudiziale intrapreso da azionisti. Le specifiche ragioni di questo dato allarmante sono da rinvenirsi nel diffuso impiego di una peculiare strategia: il c.d. disclosure-only settlement, che fa leva sull’attitudine delle corti statunitensi ad approvare ogni accordo tra le parti che definisca transattivamente il giudizio, a prescindere da qualsivoglia evidenza sui benefici di tale accordo per la società e per i suoi azionisti. In particolare, attraverso i disclosure-only settlement, gli azionisti ottengono esclusivamente la disclosure di informazioni di dubbia utilità sull’operazione contestata, mentre ai legali degli attori viene garantita la liquidazione di compensi legali in misura significativa e agli amministratori convenuti un’ampia liberatoria anche in relazione a possibili future azioni – oltre a “portare in salvo” l’operazione oggetto del giudizio. Agli inizi del 2016, con la decisione In re Trulia, la Delaware Court of Chancery ha mutato orientamento e introdotto degli stringenti requisiti per l’approvazione dei disclosure-only settlement, richiedendo da un lato che la disclosure integrativa oggetto dell’accordo comporti un “plainly material benefit” per gli azionisti e dall’altro che qualsivoglia liberatoria in favore degli amministratori sia “narrowly circumscribed”. Il nuovo standard giudiziale rende non praticabile la descritta strategia, id est meno vantaggioso per le parti che intendano ricavare i predetti benefici iniziare un giudizio senza i necessari presupposti; di guisa che non può esser di certo considerarsi casuale la riduzione della litigation che ne è conseguita. Le corti federali si sono rapidamente conformate a Trulia con In Re Walgreen, mentre alcune giurisdizioni statali sono state lente e talvolta riluttanti a farlo. Nondimeno, a fronte della reazione della corti rispetto alla strategia collusiva illustrata, le law firm specializzate nell’assistere gli attori in questi giudizi hanno prontamente ideato una contro-reazione mettendo in campo un nuovo schema elusivo delle maglie processuali: il c.d. mootness dismissal con il pagamento dei compensi legali collegati. Da qui un nuovo incremento della litigation. Il nuovo stratagemma consiste in una rinuncia all’azione da parte dell’attore, combinata con il versamento di un compenso ai plaintiffs’ attorney da parte del convenuto e a carico della società – sulla scorta della c.d. common benefit doctrine. A differenza del disclosure-only settlement, il mootness dismissal non pregiudica alcun diritto né azione dei soci non costituiti, giacché il defendant non ottiene alcuna liberatoria in relazione a future contestazioni. Inoltre, in media le mootness fee sono meno ‘generose’ di quelle connesse ai classici disclosure-only settlement. Il meccanismo in parola rischia però di generare un nuovo abuso dello strumento giudiziale, con costi non bilanciati da benefici, giacché non corrispondenti a funzioni di deterrenza o di correzione. Peraltro, dinanzi alle corti federali la strategia in questione sfugge al controllo giudiziale, atteso che le Federal Rules of Civil Procedure non subordinano il pagamento dei mootness fee a una approvazione da parte della corte. Si spiega, così, perché nel 2017 l’87% delle azioni è stata portata dinanzi a corti federali e solo il 10% in Delaware, con un trend ancora più marcato nei mesi a seguire. Nel giugno del 2019, allora, con il caso House v. Akorn, la U.S. District Court dell’Illinois ha esteso il principio di Trulia-Walgreen al mootness fee scheme, condannando i plaintiffs’ attorney a restituire i compensi alla defendant corporation. L’appello è tuttora pendente dinanzi al 7th Circuit, ma è verosimile attendersi che la corte confermi la sentenza di primo grado. Non v’è dubbio che gli standard adottati dalle corti in Trulia e Akorn debbano essere perfezionati e che non possano costituire l’unico freno alla overlitigation. Parte della dottrina addirittura sostiene che la overlitigation sottenda una crisi del sistema, che assume contorni particolarmente preoccupanti ogni qual volta il giudizio assume i caratteri di un processo non contenzioso ma tendente alla collusione tra le parti. E ciò sarebbe dovuto, almeno in parte, a un’inefficace gestione, da parte delle corti e finanche del legislatore, di alcuni conflitti di interessi e degli incentivi su cui il sistema della regulation-by-litigation si regge. Nondimeno è anche vero che una serie coordinata di interventi legislativi e di pronunce sembrano dimostrare una certa reattività del sistema e la correzione di quanto segnalato: le decisioni C&J Energy, Corwin e Karp v. SI Financial Group ne costituiscono la prova. Altri correttivi sono presumibilmente in arrivo, con lo scopo di ristabilire un equilibrio tra efficacia del controllo e costi ragionevoli per lo stesso. Per contro, qualora tale obiettivo non fosse conseguito, potrebbe realmente entrare in crisi l’intero regulation-by-litigation model; e potrebbe altresì giustificarsi un mutamento più radicale in direzione di un regulatory approach, quale quello adottato nel Regno Unito o in Irlanda, basato su un code e su di un panel per il controllo.
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