Cultura è una delle parole meno chiare ma, allo stesso tempo, più dense di significati, se la si pensa e la si vive in quella piccola parte di mondo chiamata organizzazione. La cultura organizzativa è considerata, di volta in volta il modo solito e tradizionale di pensare e di fare le cose, l’insieme delle modalità di agire e dei valori che un’organizzazione esprime quando opera e quando decide, un sistema di norme, il complesso dei comportamenti usati quotidianamente, la filosofia di fondo, un modo comune di vedere le cose, un sistema di significati colletti-vamente accettati, l’insieme dei valori dominanti, una forza che tiene insieme l’organizzazione, una dimensione invisibile che contiene prassi comportamentali e routine accettate. Elementi, quelli appena elencati, che da sempre concorrono a definire e costituire il “cuore” di ogni organizzazione. Tuttavia, è solo negli ultimi 30 anni che la letteratura sui caratteri culturali delle organizzazioni è divenuta tanto diffusa e popolare, estendendosi indifferentemente all’analisi delle imprese commerciali e industriali, delle organizzazioni pubbliche così come di quelle non-profit. A partire dagli anni ’60 del secolo scorso, le teorie organizzative hanno iniziato a mettere in evidenza la cultura come fattore rilevante, ma è solo nei primi anni ’80 che si è assistito ad una vera e propria esplosione di interesse nei confronti degli studi culturali tanto da arrivare a considerarla un fattore che, insieme ad altri, concorre a modificare il corso e il destino di tutti gli aspetti organizzativi (Gagliardi 1996, Maggi 1990). Secondo le diverse interpretazioni succedutesi nel tempo la cultura, in quanto conoscenza appresa e inamovibile, diventa un momento forte, una sorta di “must” della vita organizzativa (Alvesson, Berg 1993). La dimensione culturale è utile per interpretare i macro-fenomeni organizzativi e rappresenta quell’insieme di riferimenti che quotidianamente dirige, orienta e indirizza i comportamenti. L’incessante interazione tra persona e cultura aziendale (Bodega 1990) ha alimentato, infatti, il crescente interesse da parte della teoria organizzativa per questo campo di indagine. Al fine di comprendere l’agire individuale e, soprattutto, l’agire sociale delle persone è fondamentale chiedersi e capire cosa determini i loro comportamenti nell’agire quotidiano. Il significato delle azioni degli attori organizzativi, e la conseguente prevedibilità del comportamento umano, dipendono sia dalle intenzioni e/o motivazioni (più o meno consce) delle persone, sia dai modelli culturali appresi nell’ambiente di riferimento. I lavoratori, infatti, quando entrano in una organizzazione, mescolano valori, competenze, linguaggi “appresi” nel tempo, con quelli dell’organizzazione, trascinando così porzioni delle proprie culture nazionali dentro l’organizzazione stessa. Seppur innovativi, comunque, gli studi e l’interesse per la cultura non hanno rappresentato, come sostenuto da alcuni , una rottura radicale con il pensiero organizzativo precedente quanto piuttosto una continuità. Questo nuovo approccio, infatti, ha portato ancor di più a focalizzare l’attenzione sugli aspetti soft della gestione aziendale spesso accantonati in favore di quella razionalità considerata quale unica via di conoscenza della realtà, soprattutto in quelle organizzazioni concepite come macchine. L’invito che accumuna l’approccio culturale e le pagine che seguono è quello di non trascurare il fatto che le persone, all’interno delle organizzazioni, si relazionano servendosi anche di meccanismi e strumenti diversi da quelli fondati esclusivamente sulla divisione del lavoro, sulla specializzazione dei compiti e sulla formalizzazione

La cultura organizzativa e lo stile di direzione

Scarozza D
2011-01-01

Abstract

Cultura è una delle parole meno chiare ma, allo stesso tempo, più dense di significati, se la si pensa e la si vive in quella piccola parte di mondo chiamata organizzazione. La cultura organizzativa è considerata, di volta in volta il modo solito e tradizionale di pensare e di fare le cose, l’insieme delle modalità di agire e dei valori che un’organizzazione esprime quando opera e quando decide, un sistema di norme, il complesso dei comportamenti usati quotidianamente, la filosofia di fondo, un modo comune di vedere le cose, un sistema di significati colletti-vamente accettati, l’insieme dei valori dominanti, una forza che tiene insieme l’organizzazione, una dimensione invisibile che contiene prassi comportamentali e routine accettate. Elementi, quelli appena elencati, che da sempre concorrono a definire e costituire il “cuore” di ogni organizzazione. Tuttavia, è solo negli ultimi 30 anni che la letteratura sui caratteri culturali delle organizzazioni è divenuta tanto diffusa e popolare, estendendosi indifferentemente all’analisi delle imprese commerciali e industriali, delle organizzazioni pubbliche così come di quelle non-profit. A partire dagli anni ’60 del secolo scorso, le teorie organizzative hanno iniziato a mettere in evidenza la cultura come fattore rilevante, ma è solo nei primi anni ’80 che si è assistito ad una vera e propria esplosione di interesse nei confronti degli studi culturali tanto da arrivare a considerarla un fattore che, insieme ad altri, concorre a modificare il corso e il destino di tutti gli aspetti organizzativi (Gagliardi 1996, Maggi 1990). Secondo le diverse interpretazioni succedutesi nel tempo la cultura, in quanto conoscenza appresa e inamovibile, diventa un momento forte, una sorta di “must” della vita organizzativa (Alvesson, Berg 1993). La dimensione culturale è utile per interpretare i macro-fenomeni organizzativi e rappresenta quell’insieme di riferimenti che quotidianamente dirige, orienta e indirizza i comportamenti. L’incessante interazione tra persona e cultura aziendale (Bodega 1990) ha alimentato, infatti, il crescente interesse da parte della teoria organizzativa per questo campo di indagine. Al fine di comprendere l’agire individuale e, soprattutto, l’agire sociale delle persone è fondamentale chiedersi e capire cosa determini i loro comportamenti nell’agire quotidiano. Il significato delle azioni degli attori organizzativi, e la conseguente prevedibilità del comportamento umano, dipendono sia dalle intenzioni e/o motivazioni (più o meno consce) delle persone, sia dai modelli culturali appresi nell’ambiente di riferimento. I lavoratori, infatti, quando entrano in una organizzazione, mescolano valori, competenze, linguaggi “appresi” nel tempo, con quelli dell’organizzazione, trascinando così porzioni delle proprie culture nazionali dentro l’organizzazione stessa. Seppur innovativi, comunque, gli studi e l’interesse per la cultura non hanno rappresentato, come sostenuto da alcuni , una rottura radicale con il pensiero organizzativo precedente quanto piuttosto una continuità. Questo nuovo approccio, infatti, ha portato ancor di più a focalizzare l’attenzione sugli aspetti soft della gestione aziendale spesso accantonati in favore di quella razionalità considerata quale unica via di conoscenza della realtà, soprattutto in quelle organizzazioni concepite come macchine. L’invito che accumuna l’approccio culturale e le pagine che seguono è quello di non trascurare il fatto che le persone, all’interno delle organizzazioni, si relazionano servendosi anche di meccanismi e strumenti diversi da quelli fondati esclusivamente sulla divisione del lavoro, sulla specializzazione dei compiti e sulla formalizzazione
2011
978-88-8107-316-0
cultura organizzativa
meccanismi di coordinamento
comportamenti
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14085/4132
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