Convergenze e divergenze degli interessi di Italia, Francia e Germania nel Mediterraneo, in Africa e nel Medio Oriente Interessi comuni e differenziati La Link Campus University si è distinta fin dalla sua nascita per la pratica dell’analisi critica della realtà attraverso il libero confronto di opinioni basate su una disamina dei fatti sui quali le opinioni e le indicazioni sul da farsi si basano o dovrebbero basarsi. Un aspetto importante su cui le opinioni non sempre coincidono è quello del rilievo delle diversità di interessi tra partner nella costruzione europea rispetto ad un interesse comune, in particolare riguardo alla politica estera e alle possibilità di influire sulla scena mondiale per perseguire tali interessi. Nel Mediterraneo, nel Medio Oriente e in Africa abbiamo convergenze e divergenze con i nostri maggiori partner europei. Negli ultimi anni un aspetto che in particolare è emerso è quello delle reali o percepite contrapposizioni tra Italia e Francia che avrebbero per punto focale soprattutto la Libia. Sul piano della sicurezza siamo tutti interessati a condizioni di pace e stabilità nel Mediterraneo e nei loro profondi retroterra strategici dell’Africa e del Medio Oriente, alla sconfitta dei gruppi jihadisti e al controllo dei fenomeni migratori. In Europa possiamo confrontarci sulla distribuzione e sulle modalità di gestione dei migranti, ma rispetto ai paesi di origine e di transito gli interessi prevalentemente convergono anche se i rispettivi sistemi produttivi hanno comparti che possono competere o collaborare a seconda di convenienze non sempre riconducibili a logiche di tipo nazionale. Non vi è dubbio tuttavia che la storia e il ruolo tradizionalmente rivestito dallo Stato nella sua economia e nel suo sistema paese portano la Francia a presentarsi con un protagonismo che evoca e fa riemergere antiche contradizioni e rivalità. Italia e Francia: affinità e incomprensioni, alleanze e contrasti Le alternanze e le contemporaneità di interessi convergenti e di rivalità tra Italia e Francia vengono da lontano. Negli anni 50 del XIX secolo Cavour, a seguito della partecipazione del Piemonte alla guerra di Crimea, indusse abilmente Napoleone III a realizzare la vecchia aspirazione francese di togliere agli Asburgo il controllo dell'Italia settentrionale. Al secondo Bonaparte fu fatto credere che ciò avrebbe comportato il rafforzamento di uno stato sabaudo fortemente legato alla Francia. Ma diversamente da quelli che erano i disegni francesi, dopo le vittorie franco-piemontesi sugli austriaci nel 1859 Cavour diede sostanzialmente mano libera a Garibaldi o quanto meno non ne ostacolò l’azione realizzando l’unificazione della penisola e la nascita del Regno d'Italia con la complicità della Gran Bretagna, favorevole ad avere nel Mediterraneo una nuova entità che facesse da contrappeso alla stessa Francia e facilitasse suoi interessi strategici ed economici. A sentimenti francesi di disappunto e di malcelate accuse di ingratitudine si aggiunsero le divergenze sulla questione romana che si risolse, a vantaggio dell'Italia, soltanto in coincidenza con la sconfitta e l'umiliazione inflitte alla Francia dalla Germania di Bismarck grazie alla quale pochi anni prima il nuovo Regno aveva sottratto il Veneto all'Austria. Nel Nord Africa la presenza di centinaia di migliaia di italiani e consolidati rapporti commerciali ereditati dagli stati preunitaria alimentavano le pretese di Roma di non vedere la Francia estendervi il suo controllo dopo l'occupazione dell'Algeria dal 1830. Lo schiaffo dell'occupazione francese della Tunisia nel 1881 fu fortemente risentito dall’Italia che rafforzò i suoi rapporti con la Germania, concludendo la Triplice Alleanza, e contemporaneamente con il Regno Unito, essendo Berlino e Londra entrambi favorevoli a contenere la Francia nel Mediterraneo. Nella stessa logica il Regno Unito incoraggiò l'Italia a trovare consolazioni nel Mar Rosso (Eritrea) e nell'Oceano Indiano (Somalia) sottraendo cosi a Parigi il terminale orientale della marcia della Francia attraverso il Sahel dall'Oceano Atlantico al Corno d'Africa (con la piccola eccezione di Gibuti) che si scontrava con l'azione britannica diretta ad avere un controllo continuo della lunga fascia di primario interesse strategico su più teatri dal Delta del Nilo al Capo di Buona Speranza. Una convergenza italo-francese si ricostituì all'inizio del secolo scorso. Di fronte alla crescita di potenza della Germania, che dopo il licenziamento di Bismarck da parte di Guglielmo II e il cambiamento della politica di equilibrio europeo e di status quo ritenne di poter usare la propria potenza industriale e quindi militare per sfidare la Gran Bretagna a livello mondiale, e di fronte all'espansionismo dell'alleato austro-ungarico nei Balcani, l'Italia rafforzò i rapporti con Regno Unito e si riavvicinò alla Francia, dalle quali ebbe l'assenso all'occupazione della Libia nel 1911 e con le quali partecipò alla prima guerra mondiale. Dopo il conflitto l'Italia non ottenne i premi cui aspirava in Africa essendo stata esclusa dalla spartizione delle ex-colonie tedesche tra Francia, Regno Unito e alleati di più modeste dimensioni come il Belgio e il Sud-Africa. Il risentimento soprattutto verso la Francia diventò poi una costante della politica dell'Italia fascista con la parentesi dell'intesa tra Mussolini e Laval con la quale Parigi dava mano libera a Roma in Etiopia. La "pugnalata alle spalle" inferta da Mussolini alla Francia nel giugno 1940 nel momento più difficile per il vicino transalpino colpito a morte dall'invasione tedesca, non fu dimenticata da Parigi che avrebbe voluto imporre all'Italia mutilazioni territoriali limitate dagli anglo-americani a piccole rettifiche di frontiera. Nel dopoguerra, grazie alla visione strategica dei leaders di Francia, Germania e Italia, prevalse l'interesse comune a rendere irreversibile la pace attraverso un processo di integrazione europea che non fu però in grado di affermarsi nel campo della difesa, come era nelle loro intenzioni, a causa delle remore nazionaliste proprio della Francia, ma si avvio invece gradualmente sul piano economico prima con la messa in comune del carbone e dell'acciaio, delle risorse cioè per le quali e con le quali erano state combattute le precedenti guerre del XIX e della prima metà del XX secolo, e poi con i trattati di Roma e la nascita della Comunità Economica Europea. Questo avveniva di fronte all'esigenza comune di avere una ricostruita Germania pienamente ancorata ad un progetto di integrazione europea e allontanata dai rischi di nuove velleità nazionaliste, nonché di contenere l'espansionismo sovietico nel quadro della garanzia fornita dall'alleanza con gli Stati Uniti. Ma mentre si collaborava a questo scopo, confrontando e componendo specifici e variegati interessi economici nazionali nel riconoscimento di un maggiore interesse comune a progressive condivisioni di sovranità in settori sempre più ampi, rimasero, in forme nuove e peraltro non tali da intaccare quel superiore interesse, rapporti al tempo stesso competitivi e di collaborazione nel Mediterraneo e nei suoi retroterra mediorientale e africano. Da quando prese atto che dopo la guerra non poteva più recuperare le sue colonie con l'eccezione dell'Amministrazione fiduciaria della Somalia, oltretutto nel momento in cui il concetto stesso di colonialismo non aveva più prospettive, l'Italia assunse un atteggiamento di aperto sostegno ai processi di decolonizzazione. Non avallò l'avventura di retroguardia franco-britannica nel 1956 per il recupero del Canale di Suez nazionalizzato da Nasser, fermata dagli Stati Uniti con la conseguenza di spingere la Francia ad accelerare il processo negoziale che portò l'anno dopo alla firma del Trattato di Roma e poi allo stabilimento di rapporti di stretta intesa con la Germania. Nel 1959 il Presidente del Consiglio Fanfani fu il primo Capo di Governo occidentale a recarsi nell'Egitto di Nasser che sosteneva il Fronte Nazionale di Liberazione algerino con il quale l'Eni aveva rapporti con la tacita tolleranza del Governo italiano. L'Algeria, ottenuta l'indipendenza nel 1962 dopo la decisione di De Gaulle di porre fine ad una guerra sempre più insostenibile, diventò con la Russia il principale partner energetico dell'Italia, mentre la Francia, che peraltro con la sua decisa opzione per l'energia nucleare aveva meno bisogno di idrocarburi, aveva difficoltà a far superare le ostilità derivanti dalla lunga dominazione coloniale e dalla guerra e a mantenere una posizione di primo piano nel paese. Per l'Italia era ed è comunque essenziale garantirsi rapporti di stretta collaborazione e fiducia con i Governi dell'Algeria, paese dal quale proviene una parte rilevante del gas di cui ha bisogno l’economia italiana, e dalla Tunisia, dal cui territorio questo gas transita. Nel 1987, di fronte all’esigenza di assicurare una transizione in Tunisia resasi necessaria dalle condizioni di salute dell’anziano presidente Bourghiba che non mettesse in pericolo vitali interessi italiani, Roma ne accompagnò i passaggi cruciali fino all’assunzione del potere da parte dell’allora Ministro dell’Interno Ben Ali, anticipando iniziative dell’alleato e partner europeo francese malgrado i rapporti personali, peraltro non sempre facili, e le affinità politiche esistenti tra Craxi e Mitterrand. Inoltre, i forti interessi in Libia e i rapporti instaurati con Gheddafi per la loro protezione portarono l’Italia a mantenere atteggiamenti e comportamenti defilati rispetto alla dura opposizione, anche militare, della Francia al pari del Regno Unito e degli Stati Uniti nei confronti del terrorismo sponsorizzato e praticato dal regime libico con centinaia di vittime francesi, britanniche e di altri paesi, oltre che dell’azione di Tripoli tesa a scalzare l’influenza e gli interessi francesi nell’Africa sub-sahariana. La Francia ha certamente il vantaggio di una consolidata presenza politica, militare ed economica in tutta l’area del Sahel che intende conservare. Il suo ruolo in Africa, assieme alle capacità militari e in primo luogo alla deterrenza nucleare e al seggio permanente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, è d’altra parte una componente essenziale del suo preteso status di grande potenza. In particolare, l’uranio estratto in Niger serve la sua “force de frappe” e fornisce gran parte del carburante della sua industria elettro-nucleare che rappresenta ancora attorno al 70% della produzione di energia elettrica, sia pure destinata a ridursi al 50% nel 2025 e a diminuire ulteriormente negli anni successivi, che in parte anche noi importiamo. La Francia non è tuttavia in grado di fare tutto da sola e cerca coinvolgimenti dei partner europei per contribuire alla stabilizzazione della regione sottoposta in questi anni all'attacco dei gruppi jihadisti che sfruttano anche una nuova affermazione di identità touareg, intrecciandosi a vasti fenomeni di criminalità organizzata transnazionale che gestisce ogni tipo di traffici. Questo desiderio di coinvolgimento da parte della Francia non è una novità. Dopo il disastro di Suez e due anni dopo quello dell’Indocina cresceva, malgrado l’anacronistica resistenza in Algeria, la consapevolezza dell’inevitabile sfaldamento dell’impero coloniale francese almeno nella forma del controllo diretto. E mentre si accelerava il negoziato per la costituzione della Comunità Economica Europea e dell’Euratom Parigi chiedeva la partecipazione degli europei agli sforzi economici per il mantenimento nella sfera occidentale dei futuri stati indipendenti africani in presenza della prevedibile e in parte già in corso penetrazione sovietica, ma con il riconoscimento di una leadership della Francia. Germania e Italia, quest’ultima con l’analogo ma molto più modesto interesse per la Somalia, lo hanno accettato con il corollario dell’apertura dell'Africa francese alla loro penetrazione economica, limitata però poi nei fatti dalla compattezza del sistema paese transalpino. Questo comune impegno allo sviluppo africano sarà riflesso nel Trattato di Roma prima ancora delle indipendenze africane e poi nelle convezioni di Yaoundé e di Lomé. La Germania e l’Italia non pretendono né avrebbero motivo di alterare lo stato di cose che vede la centralità del ruolo francese nel Sahel, e sia pure con riluttanze collaborano in vista di interessi comuni. La Germania ha ad esempio risposto all'appello di inviare forze in Mali dopo i grandi attentati terroristici a Parigi. L'Italia non lo ha fatto, anche perché aveva altri impegni in Iraq per la lotta al terrorismo, e questo ha determinato malumori in Francia. L'Italia ha poi deciso di inviare un contingente in Niger a sostegno addestrativo di una forza africana perché il paese è centrale per il controllo del traffico di esseri umani. Una incomprensione di comunicazione con il Governo nigerino che aveva anche fatto pensare a malumori e interferenze francesi ha poi rallentato il suo dispiegamento. Non vi sono evidenze di contrarietà francesi, considerato anche che gli obiettivi sono chiari e convergenti. Non vogliamo certo sottrargli l'uranio (a questo ci possono forse pensare Cina, India e Corea del Sud) che a noi serve oltretutto assai poco e se mai ci servisse gli approvvigionamenti sarebbero comunque garantiti nel quadro di quanto del Trattato Euratom è stato assorbito nel Trattato di Lisbona. La ricerca di alleanze, o quanto meno di garanzie di non disturbo, a sostegno del suo ruolo nelle aree dell’Africa di sua radicata influenza ( “le pré carré” o “Francafrique”) si è esplicata anche in azioni in sede europea e di Nazioni Unite, fino a concrete partecipazioni a missioni militari, per situazioni in cui la Francia ha un interesse limitato, in Africa o altrove, ma con una aspettativa di reciproci appoggi diplomatici o se del caso militari in zone di suo primario interesse. Casi di questo tipo sono stati i sostegni ad azioni italiane nel Corno d’Africa (ad esempio nel 2000 per il processo di pace tra Etiopia e Eritrea che noi conducevamo con americani e algerini e precedentemente per le nostre attività diplomatiche e di stabilizzazione in Somalia) e all’operazione Alba in Albania. Va detto che le capacità di dispiegamento della Francia e una maggiore attitudine ad affrontare il rischio di operazioni militari determinano oggettivamente asimmetrie rispetto ad altri paesi europei ed in particolare all’Italia. E questo, assieme ad altri fattori, ha contribuito in parte ad atteggiamenti di sufficienza di Parigi nei confronti del nostro paese, come ad esempio le resistenze negli anni 70 da parte del Presidente Giscard d’Estaing ad ammetterci nel G5 da lui promosso, poi diventato G7 per volere degli americani, o le tendenze a volte manifestatesi a non farci immediatamente partecipi di gruppi ristretti di contatto o di gestione di crisi nei Balcani o in Medio Oriente, spesso con la motivazione della non appartenenza al gruppo dei paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite rispetto alla quale venivano però introdotte deroghe a vantaggio della Germania. Interessi attuali nel Mediterraneo Nel Mediterraneo, accanto a quelli comuni che abbiamo con gli altri paesi europei sulla sicurezza e sulla gestione dei flussi migratori, con articolazioni differenziate per quanto riguarda gli approvvigionamenti energetici, nostri interessi specifici permangono soprattutto in Algeria, in Tunisia e in Libia, di cui si è già parlato, nonché per ragioni diverse ma con una evoluzione anche nel settore dell’energia in Egitto. Dall'Algeria, via Tunisia, riceviamo ancora circa un quinto del nostro approvvigionamento di gas, in passato di più, il cui bisogno rimane rilevante nella transizione verso la decarbonizzazione cui ci siamo avviati. Dalla Libia importiamo circa il 10%. I pericoli di interruzione dei flussi, che per noi sarebbero assai gravi, provengono dall'instabilità politica in quei paesi. Anche la Francia è come noi interessata ad una stabilità sostenibile e quindi basata su assetti politici e sociali inclusivi e consensuali. Questo non le impedisce tuttavia di voler continuare ad affermare un suo protagonismo, anche con iniziative oggettivamente fragili, come quella in Libia di voler accelerare una consultazione elettorale apparentemente per favorire il generale Haftar, malgrado la posizione ufficiale di Parigi di sostegno al debole Governo di Tripoli riconosciuto dalle Nazioni Unite il cui il Consiglio di Sicurezza, isolando la Francia, non ha potuto far altro che prendere atto dell’irrealismo della scadenza del dicembre 2018 per lo svolgimento delle elezioni emersa dall’incontra a Parigi organizzato nel maggio scorso dal Presidente Macron con il Presidente Saraji e il Generale Haftar. Certamente Eni e Total possono essere, e a volte sono, concorrenti in varie situazioni, ma in altre si alleano come spesso accade alle grandi multinazionali globalizzate. In Libia in particolare appare poco probabile, difficilmente realizzabile e inutile che i francesi possano o vogliano eliminarci dal controllo del gas di Wafa, nel sud-ovest del paese e che da qui via tubo va sulla costa a Mellitah e poi in Sicilia. Per il petrolio vi è effettivamente concorrenza. E l'iperattivismo di Sarkozy nel 2011 contro Gheddafi fece temere attacchi alle istallazioni dell'Eni, sventati dalla partecipazione italiana all'operazione e dall’ottenimento, aiutato dagli americani, che il comando dell'operazione passasse alla NATO e quindi ad un sistema di direzione strategica, comando e controllo in cui l’Italia era pienamente presente. La recente acquisizione da parte di Total di quote di concessioni di pertinenza di società americane sembra indicare una volontà di espansione in Libia ma non necessariamente a scapito dell’Eni. In Egitto l'Eni è bene insediato nei nuovi giacimenti off-shore di gas, come negli altri più a nord-est nel Mediterraneo Orientale in parziale concorrenza ma anche in cooperazione con Total e con problemi con la Turchia per quanto riguarda le trivellazioni nelle aree di pertinenza di Cipro. Una parte consistente della produzione al largo del delta del Nilo andrà in Egitto e dovrebbe contribuire allo sviluppo economico e sociale del paese, ma una volta realizzate le infrastrutture necessarie (via tubo e quindi via Creta e la Grecia o prevedibilmente in modo più consistente con impianti di liquefazione nel porto di Damietta e poi di rigassificazione nei luoghi di arrivo) vi sarà anche più approvvigionamento per l'Italia. Di fronte alle esigenze di diversificazione delle fonti e di sicurezza degli approvvigionamenti è anche importante la realizzazione del gasdotto TAP per il trasporto del gas dall'Azerbaijan. Esso riduce la dipendenza dal gas russo che a causa delle successive crisi in Ucraina e della realizzazione del North Stream arriva in Italia soprattutto dalla Germania con un aggravio di costi per gli utilizzatori italiani. La realizzazione del South Stream attraverso il Mar Nero, attualmente non all'ordine del giorno, risolverebbe parzialmente questo problema, ma aumenterebbe la dipendenza dalla Russia. Rivalità e convergenze industriali e azione comune per la stabilita in Medio Oriente Nelle infrastrutture e nell'energia, nel Mediterraneo e in Medio Oriente, concorrenze vi sono soprattutto con imprese tedesche che con le italiane o comunque con produzioni in Italia anche se con proprietà straniere detengono l'eccellenza in questo campo. Questo accade in Iraq, nei paesi del Golfo, in Turchia, in Egitto e potenzialmente in Iran. In Iraq imprese italiane collaborano in vari progetti con grandi imprese cinesi del conglomerato China National Petroleum Corporation (CNPC), che hanno capitali e voglia di investirli. Hanno come committenti, oltre al Governo iracheno, società petrolifere europee (tra cui Eni), asiatiche e americane. Sempre in Iraq l'esigenza di riabilitare la grande diga di Mosul, il cui possibile collasso a causa di danneggiamenti aggravatisi nel tempo sarebbe disastroso, ha visto per anni in concorrenza una impresa italiana, la Trevi, e una tedesca, la Bauer, che sono tra quelle che nel mondo sanno meglio fare certi lavori in situazioni di particolare difficoltà idrogeologica. In coincidenza con l'accelerazione imposta dal pericolo che l'ISIS si impadronisse della diga o la facesse saltare alla Trevi è stato affidato un lavoro di contenimento e riabilitazione che dovrà essere seguito da una più consistente attività di rifacimento la cui assegnazione tra le due imprese è ancora aperta. Il Governo italiano ha deciso di inviare una forza di 450 uomini a protezione dei lavori e ha finalizzato l’utilizzo di parte di un credito di aiuto disponibile per l'Iraq a complemento di finanziamenti della Banca Mondiale a favore di un Governo iracheno debilitato dalla guerra e dal basso prezzo del petrolio. Un settore nel quale vi è una parziale rivalità con la Francia, compensata dalle trasversalità esistenti anche in questo campo e parallela ad alleanze con altri paesi europei, è quello delle forniture di aerei militari. Qui la concorrenza è in particolare tra l'aereo multiruolo francese Rafale, l'Eurofighter realizzato da un consorzio anglo-italo-tedesco-spagnolo nel quale vi è peraltro una partecipazione di Airbus seppure con la sua componente tedesca di Defence and Space, e l'F35 nel quale vi sono componentistiche italiane e di altri paesi. Consolidate cooperazioni italo-francesi vi sono invece nella produzione di aerei civili e militari (pattugliamento e addestramento) delle serie ATR prodotte dal consorzio tra il gruppo Airbus e Leonardo, nonché nel settore navale per la produzione di fregate, con ulteriori prospettive in relazione alla prevista partecipazione maggioritaria di Fincantieri in Stx, già Chantiers de l’Atlantique. Anche in quest’ultima vicenda sono comunque emerse remore francesi a condividere il controllo di un grande soggetto industriale. E’ stata anche annunciata una intesa tra Leonardo, Airbus e Dassault per la produzione del primo drone europeo nel quadro della cooperazione promossa dall’Agenzia Europea di Difesa nell’ambito della Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSDC) La ricerca di vendite di sistemi d'arma a paesi mediorientali in contrasto tra loro, come l'Arabia Saudita e il Qatar, se da un lato risponde all'esigenza di mantenere la sostenibilità delle industrie europee della difesa, dall'altro rischia di complicare i conflitti nella regione con effetti negativi sul piano della sicurezza e degli esodi delle popolazioni. E' questo un tema che i processi di integrazione in materia di sicurezza e difesa europea anche per gli aspetti industriali ed esportativi dovrebbero affrontare per dare coerenza e unità alle nostre politiche nei diversi campi. In Medio Oriente siamo tutti interessati alla stabilizzazione, come lo è peraltro la Cina la cui dipendenza energetica da quell'area (dalla quale dovrebbe anche transitare una parte del fascio di corridoi logistici della nuova via della seta) è ormai comparativamente maggiore della nostra. Siamo insieme ai francesi nel Libano meridionale, ove è da auspicare che rispetto agli sviluppi in Siria si mantenga una posizione comune, e a francesi e tedeschi in Iraq. Pur non essendo direttamente parte dell'accordo per bloccare lo sviluppo militare delle capacità nucleari iraniane abbiamo le stesse posizioni per il suo mantenimento in presenza degli attacchi da fronti diversi ma convergenti dell'Amministrazione Trump, degli ambienti più conservatori iraniani, del Governo Netaniahu e dell'Arabia Saudita, essendosi sostenuta da parte italiana anche l'esigenza di un ruolo più forte delle istituzioni europee e in particolare dell'Alta Rappresentante. Vi sono indubbiamente in Medio Oriente ed in particolare in Siria tentativi di protagonismi nazionali francesi, ma la risposta a questi tentativi deve essere un continuo richiamo a quanto detto dallo stesso Presidente Macron e all'esigenza di condurre tutte le iniziative in un ambito europeo, con una voce europea e con strumenti di stabilizzazione civili e militari europei. E’ da auspicare che questa posizione sia costantemente mantenuta dal Governo italiano e che trovi corrispondenze concrete nell’azione di quello francese.
Prospettive delle decisioni europee su sicurezza e difesa
MELANI M
2018-01-01
Abstract
Convergenze e divergenze degli interessi di Italia, Francia e Germania nel Mediterraneo, in Africa e nel Medio Oriente Interessi comuni e differenziati La Link Campus University si è distinta fin dalla sua nascita per la pratica dell’analisi critica della realtà attraverso il libero confronto di opinioni basate su una disamina dei fatti sui quali le opinioni e le indicazioni sul da farsi si basano o dovrebbero basarsi. Un aspetto importante su cui le opinioni non sempre coincidono è quello del rilievo delle diversità di interessi tra partner nella costruzione europea rispetto ad un interesse comune, in particolare riguardo alla politica estera e alle possibilità di influire sulla scena mondiale per perseguire tali interessi. Nel Mediterraneo, nel Medio Oriente e in Africa abbiamo convergenze e divergenze con i nostri maggiori partner europei. Negli ultimi anni un aspetto che in particolare è emerso è quello delle reali o percepite contrapposizioni tra Italia e Francia che avrebbero per punto focale soprattutto la Libia. Sul piano della sicurezza siamo tutti interessati a condizioni di pace e stabilità nel Mediterraneo e nei loro profondi retroterra strategici dell’Africa e del Medio Oriente, alla sconfitta dei gruppi jihadisti e al controllo dei fenomeni migratori. In Europa possiamo confrontarci sulla distribuzione e sulle modalità di gestione dei migranti, ma rispetto ai paesi di origine e di transito gli interessi prevalentemente convergono anche se i rispettivi sistemi produttivi hanno comparti che possono competere o collaborare a seconda di convenienze non sempre riconducibili a logiche di tipo nazionale. Non vi è dubbio tuttavia che la storia e il ruolo tradizionalmente rivestito dallo Stato nella sua economia e nel suo sistema paese portano la Francia a presentarsi con un protagonismo che evoca e fa riemergere antiche contradizioni e rivalità. Italia e Francia: affinità e incomprensioni, alleanze e contrasti Le alternanze e le contemporaneità di interessi convergenti e di rivalità tra Italia e Francia vengono da lontano. Negli anni 50 del XIX secolo Cavour, a seguito della partecipazione del Piemonte alla guerra di Crimea, indusse abilmente Napoleone III a realizzare la vecchia aspirazione francese di togliere agli Asburgo il controllo dell'Italia settentrionale. Al secondo Bonaparte fu fatto credere che ciò avrebbe comportato il rafforzamento di uno stato sabaudo fortemente legato alla Francia. Ma diversamente da quelli che erano i disegni francesi, dopo le vittorie franco-piemontesi sugli austriaci nel 1859 Cavour diede sostanzialmente mano libera a Garibaldi o quanto meno non ne ostacolò l’azione realizzando l’unificazione della penisola e la nascita del Regno d'Italia con la complicità della Gran Bretagna, favorevole ad avere nel Mediterraneo una nuova entità che facesse da contrappeso alla stessa Francia e facilitasse suoi interessi strategici ed economici. A sentimenti francesi di disappunto e di malcelate accuse di ingratitudine si aggiunsero le divergenze sulla questione romana che si risolse, a vantaggio dell'Italia, soltanto in coincidenza con la sconfitta e l'umiliazione inflitte alla Francia dalla Germania di Bismarck grazie alla quale pochi anni prima il nuovo Regno aveva sottratto il Veneto all'Austria. Nel Nord Africa la presenza di centinaia di migliaia di italiani e consolidati rapporti commerciali ereditati dagli stati preunitaria alimentavano le pretese di Roma di non vedere la Francia estendervi il suo controllo dopo l'occupazione dell'Algeria dal 1830. Lo schiaffo dell'occupazione francese della Tunisia nel 1881 fu fortemente risentito dall’Italia che rafforzò i suoi rapporti con la Germania, concludendo la Triplice Alleanza, e contemporaneamente con il Regno Unito, essendo Berlino e Londra entrambi favorevoli a contenere la Francia nel Mediterraneo. Nella stessa logica il Regno Unito incoraggiò l'Italia a trovare consolazioni nel Mar Rosso (Eritrea) e nell'Oceano Indiano (Somalia) sottraendo cosi a Parigi il terminale orientale della marcia della Francia attraverso il Sahel dall'Oceano Atlantico al Corno d'Africa (con la piccola eccezione di Gibuti) che si scontrava con l'azione britannica diretta ad avere un controllo continuo della lunga fascia di primario interesse strategico su più teatri dal Delta del Nilo al Capo di Buona Speranza. Una convergenza italo-francese si ricostituì all'inizio del secolo scorso. Di fronte alla crescita di potenza della Germania, che dopo il licenziamento di Bismarck da parte di Guglielmo II e il cambiamento della politica di equilibrio europeo e di status quo ritenne di poter usare la propria potenza industriale e quindi militare per sfidare la Gran Bretagna a livello mondiale, e di fronte all'espansionismo dell'alleato austro-ungarico nei Balcani, l'Italia rafforzò i rapporti con Regno Unito e si riavvicinò alla Francia, dalle quali ebbe l'assenso all'occupazione della Libia nel 1911 e con le quali partecipò alla prima guerra mondiale. Dopo il conflitto l'Italia non ottenne i premi cui aspirava in Africa essendo stata esclusa dalla spartizione delle ex-colonie tedesche tra Francia, Regno Unito e alleati di più modeste dimensioni come il Belgio e il Sud-Africa. Il risentimento soprattutto verso la Francia diventò poi una costante della politica dell'Italia fascista con la parentesi dell'intesa tra Mussolini e Laval con la quale Parigi dava mano libera a Roma in Etiopia. La "pugnalata alle spalle" inferta da Mussolini alla Francia nel giugno 1940 nel momento più difficile per il vicino transalpino colpito a morte dall'invasione tedesca, non fu dimenticata da Parigi che avrebbe voluto imporre all'Italia mutilazioni territoriali limitate dagli anglo-americani a piccole rettifiche di frontiera. Nel dopoguerra, grazie alla visione strategica dei leaders di Francia, Germania e Italia, prevalse l'interesse comune a rendere irreversibile la pace attraverso un processo di integrazione europea che non fu però in grado di affermarsi nel campo della difesa, come era nelle loro intenzioni, a causa delle remore nazionaliste proprio della Francia, ma si avvio invece gradualmente sul piano economico prima con la messa in comune del carbone e dell'acciaio, delle risorse cioè per le quali e con le quali erano state combattute le precedenti guerre del XIX e della prima metà del XX secolo, e poi con i trattati di Roma e la nascita della Comunità Economica Europea. Questo avveniva di fronte all'esigenza comune di avere una ricostruita Germania pienamente ancorata ad un progetto di integrazione europea e allontanata dai rischi di nuove velleità nazionaliste, nonché di contenere l'espansionismo sovietico nel quadro della garanzia fornita dall'alleanza con gli Stati Uniti. Ma mentre si collaborava a questo scopo, confrontando e componendo specifici e variegati interessi economici nazionali nel riconoscimento di un maggiore interesse comune a progressive condivisioni di sovranità in settori sempre più ampi, rimasero, in forme nuove e peraltro non tali da intaccare quel superiore interesse, rapporti al tempo stesso competitivi e di collaborazione nel Mediterraneo e nei suoi retroterra mediorientale e africano. Da quando prese atto che dopo la guerra non poteva più recuperare le sue colonie con l'eccezione dell'Amministrazione fiduciaria della Somalia, oltretutto nel momento in cui il concetto stesso di colonialismo non aveva più prospettive, l'Italia assunse un atteggiamento di aperto sostegno ai processi di decolonizzazione. Non avallò l'avventura di retroguardia franco-britannica nel 1956 per il recupero del Canale di Suez nazionalizzato da Nasser, fermata dagli Stati Uniti con la conseguenza di spingere la Francia ad accelerare il processo negoziale che portò l'anno dopo alla firma del Trattato di Roma e poi allo stabilimento di rapporti di stretta intesa con la Germania. Nel 1959 il Presidente del Consiglio Fanfani fu il primo Capo di Governo occidentale a recarsi nell'Egitto di Nasser che sosteneva il Fronte Nazionale di Liberazione algerino con il quale l'Eni aveva rapporti con la tacita tolleranza del Governo italiano. L'Algeria, ottenuta l'indipendenza nel 1962 dopo la decisione di De Gaulle di porre fine ad una guerra sempre più insostenibile, diventò con la Russia il principale partner energetico dell'Italia, mentre la Francia, che peraltro con la sua decisa opzione per l'energia nucleare aveva meno bisogno di idrocarburi, aveva difficoltà a far superare le ostilità derivanti dalla lunga dominazione coloniale e dalla guerra e a mantenere una posizione di primo piano nel paese. Per l'Italia era ed è comunque essenziale garantirsi rapporti di stretta collaborazione e fiducia con i Governi dell'Algeria, paese dal quale proviene una parte rilevante del gas di cui ha bisogno l’economia italiana, e dalla Tunisia, dal cui territorio questo gas transita. Nel 1987, di fronte all’esigenza di assicurare una transizione in Tunisia resasi necessaria dalle condizioni di salute dell’anziano presidente Bourghiba che non mettesse in pericolo vitali interessi italiani, Roma ne accompagnò i passaggi cruciali fino all’assunzione del potere da parte dell’allora Ministro dell’Interno Ben Ali, anticipando iniziative dell’alleato e partner europeo francese malgrado i rapporti personali, peraltro non sempre facili, e le affinità politiche esistenti tra Craxi e Mitterrand. Inoltre, i forti interessi in Libia e i rapporti instaurati con Gheddafi per la loro protezione portarono l’Italia a mantenere atteggiamenti e comportamenti defilati rispetto alla dura opposizione, anche militare, della Francia al pari del Regno Unito e degli Stati Uniti nei confronti del terrorismo sponsorizzato e praticato dal regime libico con centinaia di vittime francesi, britanniche e di altri paesi, oltre che dell’azione di Tripoli tesa a scalzare l’influenza e gli interessi francesi nell’Africa sub-sahariana. La Francia ha certamente il vantaggio di una consolidata presenza politica, militare ed economica in tutta l’area del Sahel che intende conservare. Il suo ruolo in Africa, assieme alle capacità militari e in primo luogo alla deterrenza nucleare e al seggio permanente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, è d’altra parte una componente essenziale del suo preteso status di grande potenza. In particolare, l’uranio estratto in Niger serve la sua “force de frappe” e fornisce gran parte del carburante della sua industria elettro-nucleare che rappresenta ancora attorno al 70% della produzione di energia elettrica, sia pure destinata a ridursi al 50% nel 2025 e a diminuire ulteriormente negli anni successivi, che in parte anche noi importiamo. La Francia non è tuttavia in grado di fare tutto da sola e cerca coinvolgimenti dei partner europei per contribuire alla stabilizzazione della regione sottoposta in questi anni all'attacco dei gruppi jihadisti che sfruttano anche una nuova affermazione di identità touareg, intrecciandosi a vasti fenomeni di criminalità organizzata transnazionale che gestisce ogni tipo di traffici. Questo desiderio di coinvolgimento da parte della Francia non è una novità. Dopo il disastro di Suez e due anni dopo quello dell’Indocina cresceva, malgrado l’anacronistica resistenza in Algeria, la consapevolezza dell’inevitabile sfaldamento dell’impero coloniale francese almeno nella forma del controllo diretto. E mentre si accelerava il negoziato per la costituzione della Comunità Economica Europea e dell’Euratom Parigi chiedeva la partecipazione degli europei agli sforzi economici per il mantenimento nella sfera occidentale dei futuri stati indipendenti africani in presenza della prevedibile e in parte già in corso penetrazione sovietica, ma con il riconoscimento di una leadership della Francia. Germania e Italia, quest’ultima con l’analogo ma molto più modesto interesse per la Somalia, lo hanno accettato con il corollario dell’apertura dell'Africa francese alla loro penetrazione economica, limitata però poi nei fatti dalla compattezza del sistema paese transalpino. Questo comune impegno allo sviluppo africano sarà riflesso nel Trattato di Roma prima ancora delle indipendenze africane e poi nelle convezioni di Yaoundé e di Lomé. La Germania e l’Italia non pretendono né avrebbero motivo di alterare lo stato di cose che vede la centralità del ruolo francese nel Sahel, e sia pure con riluttanze collaborano in vista di interessi comuni. La Germania ha ad esempio risposto all'appello di inviare forze in Mali dopo i grandi attentati terroristici a Parigi. L'Italia non lo ha fatto, anche perché aveva altri impegni in Iraq per la lotta al terrorismo, e questo ha determinato malumori in Francia. L'Italia ha poi deciso di inviare un contingente in Niger a sostegno addestrativo di una forza africana perché il paese è centrale per il controllo del traffico di esseri umani. Una incomprensione di comunicazione con il Governo nigerino che aveva anche fatto pensare a malumori e interferenze francesi ha poi rallentato il suo dispiegamento. Non vi sono evidenze di contrarietà francesi, considerato anche che gli obiettivi sono chiari e convergenti. Non vogliamo certo sottrargli l'uranio (a questo ci possono forse pensare Cina, India e Corea del Sud) che a noi serve oltretutto assai poco e se mai ci servisse gli approvvigionamenti sarebbero comunque garantiti nel quadro di quanto del Trattato Euratom è stato assorbito nel Trattato di Lisbona. La ricerca di alleanze, o quanto meno di garanzie di non disturbo, a sostegno del suo ruolo nelle aree dell’Africa di sua radicata influenza ( “le pré carré” o “Francafrique”) si è esplicata anche in azioni in sede europea e di Nazioni Unite, fino a concrete partecipazioni a missioni militari, per situazioni in cui la Francia ha un interesse limitato, in Africa o altrove, ma con una aspettativa di reciproci appoggi diplomatici o se del caso militari in zone di suo primario interesse. Casi di questo tipo sono stati i sostegni ad azioni italiane nel Corno d’Africa (ad esempio nel 2000 per il processo di pace tra Etiopia e Eritrea che noi conducevamo con americani e algerini e precedentemente per le nostre attività diplomatiche e di stabilizzazione in Somalia) e all’operazione Alba in Albania. Va detto che le capacità di dispiegamento della Francia e una maggiore attitudine ad affrontare il rischio di operazioni militari determinano oggettivamente asimmetrie rispetto ad altri paesi europei ed in particolare all’Italia. E questo, assieme ad altri fattori, ha contribuito in parte ad atteggiamenti di sufficienza di Parigi nei confronti del nostro paese, come ad esempio le resistenze negli anni 70 da parte del Presidente Giscard d’Estaing ad ammetterci nel G5 da lui promosso, poi diventato G7 per volere degli americani, o le tendenze a volte manifestatesi a non farci immediatamente partecipi di gruppi ristretti di contatto o di gestione di crisi nei Balcani o in Medio Oriente, spesso con la motivazione della non appartenenza al gruppo dei paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite rispetto alla quale venivano però introdotte deroghe a vantaggio della Germania. Interessi attuali nel Mediterraneo Nel Mediterraneo, accanto a quelli comuni che abbiamo con gli altri paesi europei sulla sicurezza e sulla gestione dei flussi migratori, con articolazioni differenziate per quanto riguarda gli approvvigionamenti energetici, nostri interessi specifici permangono soprattutto in Algeria, in Tunisia e in Libia, di cui si è già parlato, nonché per ragioni diverse ma con una evoluzione anche nel settore dell’energia in Egitto. Dall'Algeria, via Tunisia, riceviamo ancora circa un quinto del nostro approvvigionamento di gas, in passato di più, il cui bisogno rimane rilevante nella transizione verso la decarbonizzazione cui ci siamo avviati. Dalla Libia importiamo circa il 10%. I pericoli di interruzione dei flussi, che per noi sarebbero assai gravi, provengono dall'instabilità politica in quei paesi. Anche la Francia è come noi interessata ad una stabilità sostenibile e quindi basata su assetti politici e sociali inclusivi e consensuali. Questo non le impedisce tuttavia di voler continuare ad affermare un suo protagonismo, anche con iniziative oggettivamente fragili, come quella in Libia di voler accelerare una consultazione elettorale apparentemente per favorire il generale Haftar, malgrado la posizione ufficiale di Parigi di sostegno al debole Governo di Tripoli riconosciuto dalle Nazioni Unite il cui il Consiglio di Sicurezza, isolando la Francia, non ha potuto far altro che prendere atto dell’irrealismo della scadenza del dicembre 2018 per lo svolgimento delle elezioni emersa dall’incontra a Parigi organizzato nel maggio scorso dal Presidente Macron con il Presidente Saraji e il Generale Haftar. Certamente Eni e Total possono essere, e a volte sono, concorrenti in varie situazioni, ma in altre si alleano come spesso accade alle grandi multinazionali globalizzate. In Libia in particolare appare poco probabile, difficilmente realizzabile e inutile che i francesi possano o vogliano eliminarci dal controllo del gas di Wafa, nel sud-ovest del paese e che da qui via tubo va sulla costa a Mellitah e poi in Sicilia. Per il petrolio vi è effettivamente concorrenza. E l'iperattivismo di Sarkozy nel 2011 contro Gheddafi fece temere attacchi alle istallazioni dell'Eni, sventati dalla partecipazione italiana all'operazione e dall’ottenimento, aiutato dagli americani, che il comando dell'operazione passasse alla NATO e quindi ad un sistema di direzione strategica, comando e controllo in cui l’Italia era pienamente presente. La recente acquisizione da parte di Total di quote di concessioni di pertinenza di società americane sembra indicare una volontà di espansione in Libia ma non necessariamente a scapito dell’Eni. In Egitto l'Eni è bene insediato nei nuovi giacimenti off-shore di gas, come negli altri più a nord-est nel Mediterraneo Orientale in parziale concorrenza ma anche in cooperazione con Total e con problemi con la Turchia per quanto riguarda le trivellazioni nelle aree di pertinenza di Cipro. Una parte consistente della produzione al largo del delta del Nilo andrà in Egitto e dovrebbe contribuire allo sviluppo economico e sociale del paese, ma una volta realizzate le infrastrutture necessarie (via tubo e quindi via Creta e la Grecia o prevedibilmente in modo più consistente con impianti di liquefazione nel porto di Damietta e poi di rigassificazione nei luoghi di arrivo) vi sarà anche più approvvigionamento per l'Italia. Di fronte alle esigenze di diversificazione delle fonti e di sicurezza degli approvvigionamenti è anche importante la realizzazione del gasdotto TAP per il trasporto del gas dall'Azerbaijan. Esso riduce la dipendenza dal gas russo che a causa delle successive crisi in Ucraina e della realizzazione del North Stream arriva in Italia soprattutto dalla Germania con un aggravio di costi per gli utilizzatori italiani. La realizzazione del South Stream attraverso il Mar Nero, attualmente non all'ordine del giorno, risolverebbe parzialmente questo problema, ma aumenterebbe la dipendenza dalla Russia. Rivalità e convergenze industriali e azione comune per la stabilita in Medio Oriente Nelle infrastrutture e nell'energia, nel Mediterraneo e in Medio Oriente, concorrenze vi sono soprattutto con imprese tedesche che con le italiane o comunque con produzioni in Italia anche se con proprietà straniere detengono l'eccellenza in questo campo. Questo accade in Iraq, nei paesi del Golfo, in Turchia, in Egitto e potenzialmente in Iran. In Iraq imprese italiane collaborano in vari progetti con grandi imprese cinesi del conglomerato China National Petroleum Corporation (CNPC), che hanno capitali e voglia di investirli. Hanno come committenti, oltre al Governo iracheno, società petrolifere europee (tra cui Eni), asiatiche e americane. Sempre in Iraq l'esigenza di riabilitare la grande diga di Mosul, il cui possibile collasso a causa di danneggiamenti aggravatisi nel tempo sarebbe disastroso, ha visto per anni in concorrenza una impresa italiana, la Trevi, e una tedesca, la Bauer, che sono tra quelle che nel mondo sanno meglio fare certi lavori in situazioni di particolare difficoltà idrogeologica. In coincidenza con l'accelerazione imposta dal pericolo che l'ISIS si impadronisse della diga o la facesse saltare alla Trevi è stato affidato un lavoro di contenimento e riabilitazione che dovrà essere seguito da una più consistente attività di rifacimento la cui assegnazione tra le due imprese è ancora aperta. Il Governo italiano ha deciso di inviare una forza di 450 uomini a protezione dei lavori e ha finalizzato l’utilizzo di parte di un credito di aiuto disponibile per l'Iraq a complemento di finanziamenti della Banca Mondiale a favore di un Governo iracheno debilitato dalla guerra e dal basso prezzo del petrolio. Un settore nel quale vi è una parziale rivalità con la Francia, compensata dalle trasversalità esistenti anche in questo campo e parallela ad alleanze con altri paesi europei, è quello delle forniture di aerei militari. Qui la concorrenza è in particolare tra l'aereo multiruolo francese Rafale, l'Eurofighter realizzato da un consorzio anglo-italo-tedesco-spagnolo nel quale vi è peraltro una partecipazione di Airbus seppure con la sua componente tedesca di Defence and Space, e l'F35 nel quale vi sono componentistiche italiane e di altri paesi. Consolidate cooperazioni italo-francesi vi sono invece nella produzione di aerei civili e militari (pattugliamento e addestramento) delle serie ATR prodotte dal consorzio tra il gruppo Airbus e Leonardo, nonché nel settore navale per la produzione di fregate, con ulteriori prospettive in relazione alla prevista partecipazione maggioritaria di Fincantieri in Stx, già Chantiers de l’Atlantique. Anche in quest’ultima vicenda sono comunque emerse remore francesi a condividere il controllo di un grande soggetto industriale. E’ stata anche annunciata una intesa tra Leonardo, Airbus e Dassault per la produzione del primo drone europeo nel quadro della cooperazione promossa dall’Agenzia Europea di Difesa nell’ambito della Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSDC) La ricerca di vendite di sistemi d'arma a paesi mediorientali in contrasto tra loro, come l'Arabia Saudita e il Qatar, se da un lato risponde all'esigenza di mantenere la sostenibilità delle industrie europee della difesa, dall'altro rischia di complicare i conflitti nella regione con effetti negativi sul piano della sicurezza e degli esodi delle popolazioni. E' questo un tema che i processi di integrazione in materia di sicurezza e difesa europea anche per gli aspetti industriali ed esportativi dovrebbero affrontare per dare coerenza e unità alle nostre politiche nei diversi campi. In Medio Oriente siamo tutti interessati alla stabilizzazione, come lo è peraltro la Cina la cui dipendenza energetica da quell'area (dalla quale dovrebbe anche transitare una parte del fascio di corridoi logistici della nuova via della seta) è ormai comparativamente maggiore della nostra. Siamo insieme ai francesi nel Libano meridionale, ove è da auspicare che rispetto agli sviluppi in Siria si mantenga una posizione comune, e a francesi e tedeschi in Iraq. Pur non essendo direttamente parte dell'accordo per bloccare lo sviluppo militare delle capacità nucleari iraniane abbiamo le stesse posizioni per il suo mantenimento in presenza degli attacchi da fronti diversi ma convergenti dell'Amministrazione Trump, degli ambienti più conservatori iraniani, del Governo Netaniahu e dell'Arabia Saudita, essendosi sostenuta da parte italiana anche l'esigenza di un ruolo più forte delle istituzioni europee e in particolare dell'Alta Rappresentante. Vi sono indubbiamente in Medio Oriente ed in particolare in Siria tentativi di protagonismi nazionali francesi, ma la risposta a questi tentativi deve essere un continuo richiamo a quanto detto dallo stesso Presidente Macron e all'esigenza di condurre tutte le iniziative in un ambito europeo, con una voce europea e con strumenti di stabilizzazione civili e militari europei. E’ da auspicare che questa posizione sia costantemente mantenuta dal Governo italiano e che trovi corrispondenze concrete nell’azione di quello francese.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.